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L'UTOPIA DEL MUTAMENTO.

CONTE: ARENATO NELLE SECCHE DI UN'ALTRA COALIZIONE SENZA RESPIRO.

Alla fine resta una mossa improvvisata e con molte incognite il taglio di 345 parlamentari. Un voto al buio che rischia di diventare una rovina tra le rovine.

Tutti, aldilà se gli interessi si intersechino o collidano, hanno un punto di rottura. E Conte evidentemente, arenato nelle secche di un’altra coalizione senza respiro, al punto stretto c’è arrivato. 

Del resto, al “gioco” che si era sviluppato senza tregua e senza pudore, sin nel pieno dell’afa estiva, non era previsto si aggiungesse il nuovo “Leviatano”. 

Soltanto che Renzi invece c’è, ed è persino determinato, mentre guida l’azione di Di Maio, a baloccarsi in una partita spericolata.
C’è poco da lamentarsi. Bene o male, gli elettori avevano cucito il numero sulle maglie dei giocatori, condannando il M5S a stare assieme alla Lega, e gli altri a sedere in panchina. 

Ma i giocatori esorbitano spesso dai loro ruoli e dopo l’uscita per scelta tecnica di Salvini, con Conte a caccia del Quirinale, a tutti è bastato brandire una romantica “ragione di governo” per chiudere la partita e fare finta di niente.

Tuttavia, fermo restando il principio di individuare le responsabilità dei singoli personaggi è ovvio che comunque lo si voglia definire, il problema non è sicuramente quello della frequenza con la quale cambiano le coalizioni politiche. 

Piuttosto quello di un sistema bloccato intorno ad una coalizione di interessi dominanti.

Da salviniana a salvifica.

Per quanto infatti anche in questo caso la prova della pizza consista nell’assaggiarla, è difficile sottovalutare l’importanza degli ingredienti.

Il problema ha una rilevanza acutissima. Non tanto perché si tratta di un governo concepito in provetta secondo regole e per motivi incomprensibili all’opinione pubblica, anzitutto privo di indirizzo. Che già sarebbe un warning preciso che sarebbe meglio non prendere sottogamba.
Quanto per il tempo ravvicinato col quale, l’hanno no
tato anche i sassi, il “connubio” s’è confermato “mostruoso ” . 

D’altronde rendere tutto traballante è probabile che fosse proprio l’intento dell’ex premier toscano quando, spedito il ciaone a Zingaretti, alla Leopolda ha presentato Italia Viva. 

Lo scopo all’ombra del quale allignano e prosperano molte varietà di giudizi, e critiche corrosive, è così noto da non richiedere ulteriori approfondimenti. 

Ma detto alla spiccia, ha il fine di far valere la logica posizionale nonché le “rendite” di una posizione – come la sua-, determinante per la coalizione. 

E se resta poco producente disputare sulla lunghezza del velo della sposa finché questa non si marita, diverso è quando a un bel momento, ci ripensa. Perchè serve subito ragionare di misura.

Il cortocircuito

Anche nel caos, infatti, gli elementi hanno sempre un legame che come un filo conduttore li tiene insieme, ma puntare sull’alleanza giallo rossa è come fare una scommessa col genio e la follia. 

La nuova consociazione, che ha fatto tirare un sospiro di sollievo a Bruxelles, per quanto possa rassicurare è una combinazione scompagna, spaiata, sconnessa, tra soggetti che fino a ieri si insultavano, avulsa da tutto.
Un’aggregazione, in fondo, fra attori sconfitti, che senza darsi carico del rapporto tra potere e consenso elettorale, senza una discussione e senza un progetto, sta insieme con l’unico scopo di sbarrare la strada a Salvini e blindare l’elezione nel 2022 del prossimo inquilino del Quirinale. 

Le ipocrisie in effetti sono tante. Vanno dal colpo d’accetta su 345 parlamentari che prescinde l’assenza di un serio progetto di riforma elettorale, ed è sventolato oltretutto come se la riduzione a metà delle spese e delle poltrone, avvenisse il giorno dopo su questo esecutivo. 

Fino alla gretizzazione e il voto ai sedicenni.
Come se lo sviluppo della democrazia dipendesse dal numero di coloro che hanno diritto di partecipare alle decisioni che li riguardano, anziché dagli spazi in cui poi questo diritto può essere esercitato.

La coda polemica intanto, resta sulla Nota di aggiornamento al DEF, primo atto di Governo di una Manovra dalle coperture fantasma, che al catalogo toglie benefici fiscali e aggiunge aumenti più o meno mascherati di tasse .

Il cappio però è stretto intorno al collo

Ma il nodo da sciogliere non è solo quello della quadra dei conti. 

Che, tra l’altro, cosa di cui si parla poco, dal 1° gennaio 2020, in più avrà all’attivo l’entrata in vigore della Legge Antiriclaggio. La direttiva europea attuata dal Consiglio dei Ministri con il decreto legislativo numero 14 del 23 febbraio 2017 che estende a commercialisti, avvocati, soggetti delegati, potere e obbligo di puntuale verifica sul cliente; nonchè la responsabilità di segnalazione alle autorità competenti in caso di operazioni sospette. Una norma che per come è concepita può da sola far cadere un governo. 

C’è da risolvere la questione delle politiche migratorie e soprattutto della formula di voto. Due nodi molto più complicati da districare.

E’ difficile immaginare infatti, visto l’andazzo generale e le posizioni dei singoli attori, che si riesca a individuare e condurre in porto riforme istituzionali, da decenni necessarie, veramente incisive.

Neppure però, col taglio di 345 scranni , si possono ipotizzare soluzioni che non siano attraversate da una riforma della legge elettorale e costituzionale. 

Quanto tempo poi ci voglia per riuscirci, ammesso che non cada il Governo, o che ricetta sia migliore per ridurre i suffragi di Salvini a meno del 10%, non mi azzardo a a prevederlo, ma sicuramente non sarà quello che chi fa la “lotta di governo” e cerca la soluzione nella proporzionale, potrebbe mai concepire.

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