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Neuroscienze:

Un corso per riconquistare il realismo che avevamo da bambini e ritornare ad essere i migliori

E' questo il compito riabilitativo del corso del prof. Trimarchi.

Quando si parla di “neuroscienze” si parla di salute pubblica e del benessere generale dell’individuo. Le frontiere delle neuroscienze – o neurobiologia – sono molte e spaziano in diversi campi.
Dallo studio e impiego delle staminali, alle patologie legate all’invecchiamento e la memoria.

Senza frontiere, del resto, è anche il complesso di discipline, fra loro anche molto differenti, a cui attinge questa scienza e che integrano quest’importante zona di ricerca.

Un complesso di materie che comprende fisiologia, biologia molecolare, biologia cellulare, biologia dello sviluppo, biochimica, anatomia, genetica, biologia evoluzionistica, chimica, fisica, matematica e statistica, ma anche psicologia e linguistica.

E anzi, per includere diversi approcci utilizzati nell’indagine sul funzionamento cerebrale e rispondere a domande rimaste ancora aperte, è stato ulteriormente  ampliato anche da altre sofisticate materie.

Come la neuropsicofisiologia, fusione tra neurologia, psicologia, fisiologia e fisica che fornisce una conoscenza dell’individuo e del suo comportamento.

La "Neuropsicofisiologia"

Una disciplina, nata in Italia negli anni ’70, grazie a una ricerca portata avanti dal Prof. Michele Trimarchi che gli è valsa il Premio Nobel nell’82, che si fonda essenzialmente sulla fisica dell’informazione.

Vale a dire, come afferma un paradigma dello stesso Prof. Trimarchi, “non esiste nulla che non sia contemporaneamente informazione, materia ed energia.” (Trimarchi m., Manzelli P., 1985).

Scopo delle neuroscienze difatti è quello di comprendere meccanismi e sviluppare metodologie per promuovere cure e fornire soluzioni a problemi insoluti.

L’approccio della neuropsicofisiologia, che mette in correlazione energia, materia e informazione, si concentra sulla conoscenza integrata dell’individuo, del suo comportamento e degli effetti emozionali e razionali prodotti dai segnali che costantemente attraverso i sensi, riceve ed elabora il nostro cervello. E dunque perché se geni potenzialmente si nasce, poi imbecilli si diventa.

La vita quotidiana

Né la sociologia che studia i gruppi, né la psicologia che studia gli individui, e neppure la psicologia sociale che studia le opinioni e gli atteggiamenti, bastano infatti ad analizzare in tutta la sua estensione questo campo immenso che una sola parola, tuttavia, riesce a definire: l’appropriazione da parte degli esseri umani della vita in generale, e in particolare della loro propria vita. Non rischiamo di sbilanciarci e comprometterci troppo se, come dice Esopo a proposito della lingua e del linguaggio, affermiamo che la vita quotidiana è la migliore e la peggiore delle cose. In essa i bisogni diventano desideri che prendono forma, e da biologici, cioè animali e vitali, si trasformano in umani. Una metamorfosi che avviene attraverso esperienze e dure prove che esigono autocontrollo e autolimitazioni anche di esigenze spesso perfettamente legittime. Il bisogno passa così attraverso il filtro del linguaggio, dei divieti e dei permessi esterni, delle inibizioni e degli impulsi, del lavoro e del guadagno.

Il linguaggio

Ma se i bisogni, come quello sessuale, alimentare, di vestirsi, avere un’abitazione, di svago piuttosto che di attività, fanno parte della comune condizione umana, i desideri invece cambiano in funzione del gruppo di appartenenza e assumono per ciascuno caratteristiche individuali.

Verosimilmente socializzazione e umanizzazione dei bisogni possono anche conciliarsi con l’individualizzazione dei desideri e questo non avviene se non senza conflitti e guasti talvolta irreparabili. Dalla nascita, infatti, spazio e tempo sono popolati da segni e segnali, ai quali si aggiungono simboli dotati di un significato inesauribile.

I segnali sono semplici, precisi, ridotti all’essenziale spesso rispondenti a sistemi binari (il verde e il rosso, linea breve e linea lunga…), che condizionano alcuni comportamenti. 

I segni al contrario sono più vaghi e anche più complessi, e formano dei sistemi aperti. 

Un segno può essere una parola, ma può essere costituito anche da una porta, un vestito, un gesto, o solo un suono. 

Oltre ad essere significativi, sono particolarmente espressivi, e non classificabili in un sistema, volti, monumenti, simboli. 

Questi introducono infatti nella vita quotidiana una dimensione più profonda. 

Presenza del passato, bellezza, grandezza, avvenimenti e drammi individuali o collettivi.

Elementi che si sovrappongono e si traducono in un sistema parziale e insieme privilegiato: il linguaggio. 

Il filtro che capta i desideri e impone loro la dovuta forma, mentre simboli agiscono da stimolo su desideri non sempre realizzabili.

Ma se "geni" si nasce, tali si dovrebbe rimanere.

Di qui l’esigenza di rendere più elastica e completa persino la stessa nozione di vita quotidiana.

Alienazione, disalienazione, e ridondanza sono aspetti che difatti minano tutti i giorni il nostro dinamismo e corrodono la genialità che in partenza invece è in ognuno di noi, con conseguenze somatiche e patologiche anche gravi sull’organismo e sul sistema sociale.

Per questo se geni si nasce, tali sarebbe meglio rimanere tutta la vita, potenziando sempre più la propria genialità neurale genetica, filogenetica, ontogenetica e naturalmente sociale.

Questa la ricerca di frontiera di cui tratterà il corso dal titolo “ Neuroscienze: come ritrovare il genio che è in noi” che a dicembre sarà presentato dal Prof. M. Trimarchi.

“È stato dimostrato – afferma in una nota lo scienziato – che il cervello del bambino già nel ventre materno inizia a percepire tutto lo stato vibrazionale della madre, formando dentro di sé le fondamenta della sua personalità e della sua esistenza.

Dopo la nascita gli organi di senso diventano le vie preferenziali delle informazioni che raggiungono il cervello, riducendo sempre più la libertà di risuonare con le varie forme di Energia che pervadono e avvolgono la nostra realtà biologica e biofisica. “

A dicembre un corso del Prof. M. Trimarichi per recuperare l'IO sepolto.

La differenza fra “biologico” e “biofisico” sta nel fatto che la biologia viene circoscritta alle strutture organiche materiali, trascurando la realtà biofisica informazionale, vibrazionale, elettromagnetica che costituisce l’essenza dell’esistente.

“Le informazioni che passano attraverso gli organi di senso, vengono pilotate in circuiti neuronali che vanno ad associarsi a memorie condizionate. 

Il che significa che da quel momento la persona non cresce più in coscienza perché comincia a ripetere le informazioni associate ai vari condizionamenti e perde la possibilità di identificare la sostanziale realtà e verità nelle informazioni ricevute, vedendone solo l’aspetto esteriore e formale.

Soprattutto su questo si concentrerà il corso: sull’Io da recuperare dalle memorie filogenetiche, sepolto nei nostri lobi frontali.

Un corso rivolto a tutti per dare forza all’IO di qualsiasi età, e tornare a quella condizione per cui in origine siamo tutti potenzialmente geni.

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