Home » webzine » Unione Europea » Ue: plastica e acqua direttive al trilogo
Beviamo alla salute di un altro e roviniamo la nostra.
(Jerome K. Jerome)

di Rossano Matarazzo
Dopo averla infarcita di altri divieti, il Parlamento europeo ha detto si al varo delle direttiva che intende vietare le plastiche monouso.
Approvata dagli europarlamentari anche la direttiva sulla qualità delle acque potabili, passata con la bocciatura degli emendamenti che chiedevano limiti ai Pfass inferiori o pari a zero.
Ora, per approdare alla stesura definitiva degli articolati da portare al vaglio del Consiglio dei ministri dell’Unione europea, a cui spetta l’ultima parola, le due proposte legislative sono messe alla prova del “trilogo”.
Negoziati politici a tre. Ovvero riunioni informali a porte chiuse, fra rappresentanti di Commissione, del Parlamento UE e del Consiglio, per trovare, sulla base di emendamenti e scambi di accordi, una posizione comune.
Compromessi che, nonostante i punti sui quali v’è dissenso, si vorrebbero accelerare e concludere al più presto, con un documento finale possibilmente da varare entro l’anno.
Tanto che a soli 15 giorni dal via libera dell’Europarlamento, è già convocata la prima riunione, preparatoria del trologo, del gruppo Ambiente.
Il fronte, per entrambe le direttive, è quello della lotta all’inquinamento delle acque e della tutela sanitaria.
Ma come succede sempre quando una legge prende forma attraverso negoziati politici a porte chiuse, l’esito può non essere così scontato.
Stretta sulla plastica. E via libera ai Pfas nell’acqua potabile.
Neppure il si dell’Europarlamento al varo della direttiva per mettere al bando la plastica usa e getta, espresso in larga maggioranza, lo è.
Una stretta che tuttavia, visti gli interessi degli attori in gioco, ha segnato un sensibile cambio di passo, quantomeno sotto il profilo politico. .
All’elenco, presentato dalla Commissione, gli eurodeputati, rincarando la dose, hanno aggiunto anche contenitori in polistirolo espanso, sacchetti in plastica leggera, articoli in plastica ossi-degradabili.
Entrati nel mirino, insieme agli imballaggi, pure i rifiuti da mozziconi delle sigarette che dovrebbero essere ridotti del 50% per il 2025, e dell’80% entro il 2030.
E con essi i produttori di tabacco, chiamati a farsi carico di raccolta, trasporto e trattamento di tali residui.
Responsabilità estesa anche ai produttori di attrezzi da pesca che contengono plastica fossile, e a chi produce involucri, salviettine o assorbenti igienici.
Gli Stati membri dovrebbero garantire infatti, in caso di entrata in vigore di questa bozza di direttiva, la raccolta e il riciclaggio almeno della metà di questo tipo di rifiuti, fra i più dispersi e abbandonati sulle spiagge.
Non solo divieti anche incentivi.
Nell’articolato della proposta di legge previste inoltre azioni di riduzione indirizzate a tutti quei prodotti in plastica che, in mancanza di alternative, sono destinati a restare in commercio.
Dicasi scatole per cibi tipo frutta verdura, gelati, etc., il cui consumo dovrebbe scendere entro il 2025 almeno del 25%.
Stretta anche sulle bottiglie di acqua e bevande che, sempre entro il 2025, dovrebbero essere raccolte in modo separato e riciclate per il 90%.
Naturalmente compito degli Stati resterebbe sempre quello di promuovere riciclo e riuso, e incoraggiare prodotti multi utilizzo, sensibilizzando l’opinione pubblica ad un consumo consapevole e accorto di prodotti che inquinano.
E per finire, allo scopo di spingere le aziende europee alla sostituzione dei prodotti di plastica fossile con altri più eco-sostenibili, promessi anche incentivi, soprattutto per ricerca e sviluppo.
Insomma se la bozza di direttiva dovesse uscire indenne dai negoziati, senza essere annacquata, i produttori di molti articoli sarebbero chiamati a contribuire ai costi di riciclo, smaltimento e di sensibilizzazione ambientale.
Rifiuti: una competizione fra riciclo e recupero energetico da incenerimento
Efficientare l’uso e il consumo di risorse è, senza dubbio, un’esigenza inderogabile.
Diventata imperativa da quando la Cina ha smesso di importare materie prime secondarie da recupero.
Per l’esattezza 24 – plastica in cima e cartone compreso-, mettendo in crisi l’intero sistema di gestione dei rifiuti, e con esso l’industria del riciclo.
E infatti anche se per molti il problema dell’ambiente si risolve col cestino della raccolta differenziata, la questione è complicata.
Senza una destinazione e con i prezzi crollati per assenza di domanda, i materiali raccolti inesorabilmente si accumulano.
Anche quando non sono troppo sporchi e si possono riutilizzare, restano ammassati nei depositi di stoccaggio, fino a che non finiscono nei bruciatori e nelle discariche.
Il problema del riciclaggio e corretto smaltimento dei rifiuti, per l’Europa, è un problema enorme.
In Italia?
Se l’Europa è in crisi, l’Italia, pur avendo punte d’eccellenza, è quasi in ginocchio.
Fermo il mercato del riuso, inceneritori e discariche sono al collasso mentre gli impianti sono intasati di materiali da rigenerare che non sanno dove smaltire il residuale. In più i costi di conferimento, sono talmente lievitati da non lasciare margini di profitto.
Una giacitura aggravata dalla strategia complessivamente attuata dal nostro Paese e radicalizzata per scampare sanzioni dall’ex premier Matteo Renzi con l’Art. 35 del Salvaitalia.
Una distorsione normativa sul trasferimento e trattamento dei rifiuti che ha spostato il problema dalla riconversione e il riciclo, all’incenerimento.
Infatti oltre a prevedere la costruzione di 12 nuovi impianti di termovalorizzazione; da una parte ha aumentato i quantitativi di rifiuti trattati dagli inceneritori in esercizio, dribblando restrizioni e autorizzazioni imposte dalle varie Regioni.
Dall’altra ha obbligato gli stessi a dare priorità all’incenerimento dei rifiuti urbani extraregionali rispetto agli speciali locali, perciò sempre più difficili da eliminare.
Intanto il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa, allarmato dagli studi CNR ha bloccato tutto e proposto la modifica di legge.
Ma ciò non toglie che siamo sommersi di scarti inutili da smaltire e nessuno sa dire come e dove.
Alla prova del trilogo anche la rifusione della direttiva sull’acqua.
Coerente con gli sforzi dell’Unione tesi a ridurre le emissioni di gas a effetto serra e i rifiuti marini, e con la strategia europea per la plastica, è stata approvata nella plenaria di Strasburgo anche la proposta di revisione della direttiva sulla qualità e il diritto di accesso delle acque potabili.
In realtà una rifusione con la precedente direttiva 98/83/CE, già aggiornata nel 2003, 2009 e 2015 concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano.
L’acqua potabile è fra le prime preoccupazioni di molti europei e la revisione è il seguito dell’iniziativa popolare “Right2Water”.
La proposta contiene elementi che favoriscono la gestione sostenibile ed efficiente dell’acqua potabile che contribuiscono a ridurre il consumo di acqua in bottiglia e concorre perciò ad attuare il piano d’azione per l’economia circolare.
Nel complesso, la proposta è coerente con la legislazione costante dell’Unione in questo settore, in particolare la direttiva quadro in materia di acque, la direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino, la direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane e la direttiva sui nitrati.
Pfas senza limiti nell'acqua potabile.
Integra gli articoli 6, 7 e 8 della direttiva quadro in materia di acque, che riguardano i requisiti per l’identificazione e il controllo dei corpi idrici utilizzati per l’estrazione di acqua potabile e per la designazione delle aree protette che contengono tali corpi idrici.
E integra anche l’articolo 11 della suddetta direttiva, che impone agli Stati membri di stabilire programmi di misurazione che includano misure volte a proteggere le zone di estrazione di acqua potabile.
La revisione della normativa era stata presentata a febbraio dalla Commissione e per la prima volta il testo di riforma conteneva anche limiti di Pfas inferiori o pari a zero.
Interferenti endocrini che nelle zone contaminate, avvelenano l’acqua del rubinetto di casa. La pericolosità di queste sostanze, che in alte concentrazioni alterano il sistema ormonale degli esseri viventi, e il normale funzionamento del sistema endocrino, è infatti conclamata.
Pfas sta per sostanze perfluoroalchiliche, una classe di composti chimici impiegati da molte industrie per la capacità di proteggere i prodotti e renderli impermeabili all’acqua e ai grassi.
Ed è questo il motivo che li rende particolarmente resistenti e quindi potenzialmente un problema serio per l’ambiente e per l’uomo.
Scelte che vanno comunque contro il "principio di precauzione".
Eppure il Parlamento europeo ha rinnovato un’antica tradizione votando una regolamentazione della Commissione Ambiente che con il pretesto di tutelare maggiormente la salute umana, tiene conto del pericolo ma non del rischio.
Identificare infatti gli interferenti endocrini secondo evidenze scientifiche significa attendere anni prima di sapere quanto quella sostanza fa male alla salute.
Più semplicemente significa negare il principio di precauzione sancito dall’art.7 del Regolamento 178/2002, secondo il quale dovrebbe bastare, per prendere misure, la sola possibilità di pericolo per la salute.
Nella sessione di Strasburgo, però, tutti gli emendamenti che proponevano limiti inferiori o pari a zero per Pfas nelle acque potabili, non sono passati e sono stati bocciati.
La proposta di rifusione avrebbe potuto portare ad un’evoluzione della regolamentazione UE. E’ passata con 300 voti favorevoli, 98 contrari e 274 astensioni.
Anzi, per un emendamento inserito all’ultimo dal Ppe è stata promossa con l’innalzamento dei limiti attuali Pfas. Addirittura portati a 500 nanogrammi per litro.
Ora la rifusione passa ai negoziati dopo di che sapremo se la politica sarà veramente capace di dire no alle potenti lobbies industriali anche nelle segrete stanze.
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